Io scrivo: manuale di sopravvivenza…

recensione a cura di Alessandra Di Gregorio.

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Titolo: Io scrivo. Manuale di sopravvivenza creativa per scrittori esordienti
Autore: Navarra Simone M.
Editore: Delos Books
Collana: I libri di Writers magazine
Data di Pubblicazione: 2009
ISBN: 8895724550
ISBN-13: 9788895724553

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Io scrivo, manuale non-manuale di Simone Navarra, raccoglie articoli pubblicati dallo stesso su un blog online. Lo scopo è dare consigli e proporre anti-consigli, a coloro che si affacciano al mondo dell’esordienza editoriale, più che dell’esordienza letteraria.  Insomma egli raccoglie la propria esperienza e senza troppi giri di parole la mette nero su bianco dandole un ordine a suo dire coerente. A leggerlo, però, si ha l’impressione che in fondo non ci voleva un libro per parlare di come non si è ancora riusciti a scrivere un libro e a renderlo pubblico… L’Autore, infatti, tra il serio e il faceto, parla a terzi ma parla soprattutto a se stesso, facendo una ricognizione di quella che è prima di tutto la sua situazione.

Viene così da fare una chiarificazione circa il tipo di esordienza preso in considerazione da Navarra, perché la cosa che salta all’occhio (oltre all’evidente approccio personale), è che egli non parla agli scrittori. Egli parla come parlerebbe a chiunque, e ciò rafforza solo il fatto che tutti possono scrivere ed essere scrittori, anche se in fondo è una delle prime cose che critica e che magari vorrebbe anche contrastare. A guardarla da questa angolazione, si potrebbe addirittura dire che potendo sostituire il tema oggetto di discorso con cavoli e patate (per dirla fuori dai denti come farebbe anche lui), avremmo lo stesso risultato. Una trattazione che dice e contraddice. Che è simpatica e sincera, ma che in fondo non si sa cosa sta dicendo di particolare…

Il problema di questa visione (perlomeno per come la percepisco io lettrice), ritengo possa nascondersi all’interno dell’approccio personale di Navarra alla scrittura, approccio piuttosto vago, a dire il vero, e anche un po’ troppo semplificante (da qui il doverselo vedere scritto e stampato nero su bianco). Approccio in divenire, com’è normale che sia, e dunque la domanda “a che pro questo libro?”, continua a farsi strada in me.

La scrittura, a suo avviso, è la possibilità di dare una forma non tanto a un messaggio (anche se spesso lo sento utilizzare questa dizione, nella sua esposizione a riguardo si smentisce di continuo), quanto piuttosto a una serie di idee che possono essere impilate l’una dietro l’altra. Come si può giudicare l’interiorità altrui (dicendo che non crede nel tipo di scrittura di coloro che il mondo dentro ce l’hanno già bello e formato, si siedono e lo tirano semplicemente fuori)? Noi vediamo il libro ma ogni uomo è un mondo – per quanto a noi faccia ribrezzo o faccia ridere…

L’Autore dedica molta attenzione alla dimensione editoriale del libro, con tutto quello che ne consegue, ovvero problemi di natura commerciale su cui, tuttavia, (e lo so per esperienze maturate proprio nelle case editrici e dunque nel mercato) non si può costruire alcuna scienza esatta. Il bello, in fondo, è anche questo.

Avrei preferito che da autore Navarra parlasse d’altro. Cioè che nei panni dell’autore parlasse di sé, non di Internet, dei blog, dei motori di ricerca, del feedback o mancato feedback degli utenti. Lui ha toccato il contorno per non finire mai al centro del cerchio.

Qualche accenno alla personalità degli autori viene fatto, per poi morire subito dopo, soffocato da altre iperboliche idee da opinionista più che da protagonista della propria esperienza. Esperire vuol dire toccare con mano e maturare cose più profonde di quattro o cinque o addirittura dieci consigli su come si scrive un blog al posto di un libro. Quindi l’Autore di cosa sta realmente parlando? Cosa sta realmente dicendo? Il suo libro è solo un fare mente locale? E dopo? Cosa succede? A questo punto mi verrebbe da chiedermi anche: “come procede il lavoro di Navarra? Cosa bolle nella sua pentola? Sarà capace di emozionare? O si limiterà a chiedersi in quali altri modi attirare l’attenzione? Cioè si lascerà trapassare dalle emozioni, per rinfocolare la fiamma della creatività, o si sbraccerà per attirare quella benedetta attenzione e poi boh?”. Da lettrice mi pongo una lunga serie di domande perché a questo punto mi interessa la sorte dell’Autore. Non è anche questo lo scopo della lettura? Appassionarsi a qualcosa e dunque a qualcuno? (Siamo tutti un po’ avvocati del diavolo…)

L’Autore invece si diverte a dirci tutto fuorché le cose interessanti. Dice di aver letto tanti manuali (e io mi sono chiesta: “ma perché ha letto tanti manuali?”); gioca con le parole per mettere sempre un velo tra sé e i suoi sentimenti, e quello che ne viene fuori è divertente, certo, ma dura il tempo di poche pagine, e il suo libro rischia di essere l’ennesimo “raglio alla luna”…

Volendo ragionare come nel libro ragiona l’Autore, mi viene da dire anche questo: spender soldi, tempo ed energie mentali, per leggere cose che sicuramente il pubblico a cui si rivolge già sa, è un modo per continuare a giocare sul fatto che non si è pronti per il salto (ma questo quanto ha solo a che fare coi libri fatti e finiti?…). Non si può essere un autore di qualità se poi la qualità del proprio spirito è compromessa in partenza e a tutto ci si rivolge fuorché alla scrittura o a se stessi. Né si può usare la scusa del “fuori sono tutti brutti e cattivi” per giustificarsi. Magari, più semplicemente, si deve solo fare tanta altra strada come persone. Punto, questo, che non si ribadirà mai abbastanza. Navarra lo dice agli altri ma in realtà ci gioca molto, su questa cosa, come se non riguardasse lui per primo. Ovvero, lui sa che lo riguarda ma sa anche che se hai voglia di scrivere scrivi e basta, e se hai voglia di pubblicare quella voglia ce l’hai e non te la levi manco dopo aver pubblicato. È qualcosa che non riguarda né i soldi né la fama. Infatti accomuna le persone più disparate. Riguarda un desiderio più antico e incontrollabile: la comunicazione. Tentare di mettersi in relazione con la gente e dunque col proprio Io. Che tu sia meritevole o meno, che tu abbia cose da dire o no, nasci già con quel bisogno, e il bisogno può solo aumentare, se sei sottoposto a degli stimoli (per esempio la vita…). Non nasciamo tutti letterati e talentuosi. Nasciamo però esseri umani… A prescindere dall’odierna esasperazione e saturazione di un mercato italiano sempre più scadente. Il pubblico, inoltre, non è il ricevente passivo di qualcosa. Egli è attivo quanto noi. Se l’umanità si impoverisce, questo accade su entrambi i fronti, non riguarda solo chi scrive o solo chi legge. E, logicamente, non riguarda di sicuro solo l’editoria. È un fatto universale di cui si tende troppo facilmente a guardare solo gli aspetti minimi e parziali.

C’è anche, a mio avviso, nelle parole di Navarra, un sincero scoramento di cui forse non è ancora del tutto cosciente. Scoramento legato allo scoraggiante contatto col mondo esterno. Per “mondo” intendo la vastità dei rapporti che s’inverano quando il dentro diventa il fuori. Il timore di prendersi troppo sul serio è legato più a questo, credo, che alla paura di annoiare qualcuno o del no dell’editore di turno. Da qui il suo proporre un messaggio e un contro messaggio praticamente in concomitanza. Della serie “siate uomini e donne straordinari” e al tempo stesso “fottetevene, producete spazzatura per attirare l’attenzione”. Così a chi legge può venire il dubbio: farsi una personalità e arricchirla, assaporare ogni emozione e renderla viva attraverso il filo della ragione, perché la ricchezza interiore si rifletta nella vita (i libri fanno parte della vita, non sono un campo a parte, magari qualcuno si stupirà di questo), oppure fingersi altro, perché così si vendono copie e magari si va pure in televisione (come se davvero ci fosse una legge sul gusto delle persone e non ce ne fosse una riguardante la propria interiorità)?

Navarra classifica scrittori, lettori, libri, e pur apprezzando il piglio generale che tiene unite le varie parti del libro, avrei preferito più maturità nell’inquadrare le cose. Prendersi sul serio dopotutto non è un reato. E bisogna affinare la mira. È troppo banale dire “non siate banali”; questo l’hanno già detto tutti quanti… e dire “proponete del nuovo” e poi non proporre propriamente del nuovo ma stare a parlare del non-nuovo proposto, non credo abbia l’utilità necessaria all’evoluzione né della scrittura né degli scrittori.

Nel manuale ci sono anche alcune inesattezze… Quando l’Autore sostiene che i generi letterari in sostanza non esistono ma sono il sistema di catalogazione dei libri nelle librerie, viene da mettersi le mani nei capelli. Innanzitutto perché il concetto di genere letterario è molto antico e la letteratura nasce molto tempo prima dell’avvento della fantascienza e delle librerie. A parte l’ironia, ci vorrebbero delle lezioni di storia della letteratura. Toccare tutto superficialmente, può apparire simpatico ma sempre un discorso di superficie rimane (a che pro, altrimenti, dire agli scrittori fatevi una cultura?).

In conclusione, penso questo, cioè che bisogna, a un certo punto, scegliere dove stare. Se sempre sulla rassicurante superficie. Oppure prendere e affondare nel limo e nei vari strati di sedimentazione di un processo tanto complesso come quello della creatività – quella che ha a che fare non con l’idea cinematografica del libro (mi riferisco all’idea del dover costruire il libro… l’approccio è quello del film-maker più che dello scrittore tout cours), ma con l’idea profondamente letteraria e tridimensionale, della scrittura.

Nel manuale non-manuale di Navarra, si rintracciano ancora molte incertezze, che, probabilmente, solo il tempo e la maturità riusciranno a sciogliere più che felicemente. Dunque restiamo in attesa del prossimo manuale non-manuale.

 

 

 

Alessandra Di Gregorio

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